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CASA E QUARTIERI
Curatore: Laura Fregolent, Michelangelo Savino

ORIGINI DELLA “QUESTIONE ABITATIVA” IN ITALIA

La casa, o meglio la questione abitativa, appare in tutta la sua rilevanza nelle attività e nei documenti dell'INU quale componente strutturale del processo di pianificazione così come i quartieri di edilizia pubblica o più generalmente i quartieri residenziali sono elementi strategici dell'espansione della città e della riqualificazione delle sue parti esistenti. I caratteri delle aree residenziali, la dotazione di servizi e di infrastrutture, sono trattate come componenti essenziali del piano regolatore urbano e fattore determinante della sua qualità e della sua efficacia.
Fin dalla fondazione, esito del XII Congresso internazionale dell’abitazione e dei piani regolatori (Roma, 1929), l’INU partecipa al dibattito incentrato sull’emergenza abitativa di quegli anni (dovuta allo sventramento dei centri storici, alla necessità di nuovi quartieri residenziali per fare fronte all’inurbamento, nonostante l'impegno di “sfollare le città”) e sull’individuazione delle caratteristiche degli edifici residenziali e dell’alloggio. La “casa del lavoratore”, la “casa in non proprietà”, la “casa popolare” sono temi che premono per la necessità di un piano regolatore che definisca la struttura della “città moderna”.
Il censimento del 1931 mostra un paese di 41,6 milioni di abitanti, 9,7 milioni di alloggi e 31,7 milioni di stanze di cui 2 milioni non occupate. Tra il 1931 e il 1941 vengono costruite 1,8 milioni di stanze (+ 5,8%) mentre la popolazione nello stesso periodo cresce del 10,2%. Nel 1945 raggiunge i 46,5 milioni di abitanti. E la condizione abitativa nell’Italia del II dopoguerra rimarrà grave non solo per le distruzioni causate al patrimonio dal conflitto, ma anche per il perpetuarsi di una carenza di alloggi e di degrado del patrimonio residenziale.

DIRITTO ALLA CASA E DIRITTO ALL’ABITARE

L’INU segue il dibattito politico restituendo informazioni sul fabbisogno delle città italiane prestando particolare attenzione alla realizzazione del Piano Ina-Casa (1949) e successivamente dei quartieri PEEP (1962): i quartieri di edilizia pubblica possono costituire importanti tasselli della strategia di pianificazione e controllo dello sviluppo urbano, strategici anche per la dotazione di servizi, attrezzature pubbliche e infrastrutture della città, come viene sancito nel IV Congresso nazionale dell’INU (Venezia, 18-21 ott. 1952). Nonostante gli ingenti investimenti pubblici nel settore delle costruzioni, crescita demografica e flussi migratori – che tra il 1955 e il 1970 spostano 17 milioni di abitanti – acuiscono un fabbisogno abitativo che nel 1964 viene calcolato intorno ai 20 milioni di stanze, aggravato dallo squilibrio della distribuzione territoriale del patrimonio residenziale spesso sottoutilizzato o inutilizzabile per le condizioni di degrado.
In un periodo di fermento politico e scontro sociale ormai aperto e manifesto, la mancanza di un alloggio diventa il mancato riconoscimento dell'imprescindibile “diritto alla casa”.
La risposta alla pressante domanda deve passare attraverso una legislazione urbanistica capace di rispondere ai bisogni della società italiana attraverso il regime delle aree urbane, il controllo della rendita, la garanzia di servizi pubblici, la regolamentazione della crescita della città. La casa diventa il tema portante del grande sciopero nazionale del 1969 e sarà oggetto di alcuni convegni dell’INU (Bologna, 1970; Roma, 1971; Cosenza, 1979); con riflessioni critiche su Urbanistica e numerose note su Urbanistica Informazioni (sin dal 1972 molta attenta allo scontro politico e al dibattito legislativo). L’INU esprime la propria posizione e offre un supporto tecnico alla discussione sulla L. 10/1977, la L. 457/1978 e ancora per la L. 392/1978 (equo canone), sostenendo come solo un processo rigoroso di pianificazione della città e del territorio possano dare risposta efficace ad una permanente emergenza abitativa.

 

DALL’EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA ALL’EDILIZIA RESIDENZIALE SOCIALE

Nel corso degli anni successivi, però, il tema casa perde di interesse per il legislatore, e solo a metà degli anni 2000 le politiche abitative tornano ad essere una priorità nazionale con risorse crescenti all'edilizia residenziale sociale e per l'accesso all’affitto, un impegno che sarà presto disatteso per il cambio di orientamento del governo che affronta esclusivamente l’emergenza. Nel 2012 si dà avvio al Piano nazionale per le città, per la riqualificazione di aree urbane degradate, nel 2014 il Piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate e nel 2015 il “Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie” a cui seguirà nel 2021 il “Piano Innovativo Nazionale per la Qualità dell’Abitare”. In questo rinnovato quadro di metodi e strumenti di intervento, l’INU mostra interesse per le diverse iniziative quali nuovi approcci alla pianificazione urbana e strumenti per gestire le “emergenze urbane” (degrado dei quartieri residenziali pubblici, dismissione delle aree produttive, insufficiente dotazione di aree verdi e servizi).
La concezione del disagio abitativo, letto come una più profonda “questione dell’abitare contemporaneo”, e il progressivo distacco del dibattito dal tema dell’offerta di edilizia pubblica aprono una diversa prospettiva al dibattito politico ma anche alla riflessione disciplinare. L’affermazione del concetto di “social housing”, l’esplorazione di nuove forme dell’abitare, l’insorgenza di pratiche innovative che vanno da forme di auto-organizzazione alla manifestazione di diverse (e alternative in alcuni casi) opportunità abitative a sostegno di gruppi sociali più deboli, modificano i termini della discussione pubblica ma anche il modo con cui l’INU partecipa e supporta il dibattito.

Barbieri

Approfondimento
DALLE LOTTE PER LA CASA AL SOCIAL HOUSING 

La concreta formulazione di una “politica della casa” (che sostituisce l’intervento tradizionalmente “per il settore delle costruzioni”) prende avvio dopo lo sciopero generale del 19 novembre 1969: per la prima volta nel dopoguerra, l’emergenza casa unisce interessi di categorie diverse di lavoratori e cittadini. La fabbrica, la critica al piano industriale della Fiat e le sue conseguenze sul fabbisogno di abitazioni, ma in termini più generali, anche sull’intera organizzazione del territorio e della città, sono temi che intrecciano le proteste dei lavoratori con le rivendicazioni degli abitanti e si traducono in una contestazione per il “diritto alla città”.
Le lotte e per la casa di fine anni ’60 pongono al centro delle politiche pubbliche la garanzia per tutti i cittadini dell’accesso alla casa e della qualità urbana, quali valori imprescindibili: si intravede l’opportunità per trasformare l’approccio delle politiche abitative, ancora improntato su una dimensione prevalentemente “quantitativa” e finalizzato quasi esclusivamente a soddisfare il fabbisogno abitativo.
La risposta da parte dello Stato è un piano per la realizzazione di milioni di vani attraverso diverse iniziative legislative: la L. 865/1971, che ridisegna l’organizzazione istituzionale dell’intervento pubblico nel settore della casa; la L. 457/1978, ultimo intervento statale che destina ingenti risorse alle politiche abitative, che introduce il Piano decennale e consente tra il 1978 e il 1998 la realizzazione di quartieri e interventi di edilizia sovvenzionata e agevolata grazie alle risorse ripartite alle Regioni per un importo complessivo di quasi 20 miliardi di euro; anche i programmi della L. 179/1992, sono stati finanziati con quel piano.
Questo impegno tende a smorzarsi e a partire dagli anni ’90, le risorse dello Stato dedicate alla realizzazione di interventi di edilizia residenziale pubblica cessano quasi definitivamente, in coincidenza con il trasferimento alle Regioni delle competenze sul patrimonio residenziale, al quale però non si accompagna un adeguato trasferimento di risorse.
A lungo le politiche abitative non sono più entrate nell’agenda politica e del legislatore fino alla L. 133/2008 primo “Piano Casa” che si propone di ridurre il problema dell’emergenza abitativa attraverso un aumento dell’offerta di abitazioni in affitto, a prezzi accessibili, e che introduce il concetto di social housing facendo scomparire, al momento solo a parole, quello di edilizia residenziale pubblica.

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